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Cervicale e tecniche a energia muscolare

J Am Osteopath Assoc. 2006 Mar;106(3):137-42. Gross range of motion in the cervical spine: the effects of osteopathic muscle energy technique in asymptomatic subjects. Burns DK1, Wells MR.

Il termine “disfunzione somatica” è definito come un’alterata funzione delle componenti del soma vertebrale ovvero delle strutture scheletriche, miofasciali, vascolari e neurali. Le disfunzioni somatiche della colonna cervicale spesso risultano in un’aumentata tensione muscolare, dolorabilità alla palpazione, asimmetria e ridotto range di movimento. Nonostante alcuni sintomi della disfunzione somatica, come il cambiamento di sensibilità e la rigidità muscolare, siano soggettivi e riportati dai pazienti, l’asimmetria e la tensione dei tessuti può essere valutata attraverso l’esame palpatorio e la restrizione del range di mobilità attivo e passivo può essere facilmente misurato con mezzi convenzionali. Lo scopo dello studio proposto è stato quello di valutare se una specifica tecnica osteopatica possa aumentare il range di movimento cervicale in pazienti asintomatici. 32 soggetti giovani sono stati reclutati per lo studio, in assenza di patologie o dolori cervicali e di precedenti trattamenti osteopatici. In modo randomizzato sono stati assegnati al gruppo di trattamento osteopatico o al gruppo di controllo. Nel gruppo di trattamento osteopatico è stata eseguita una tecnica a energia muscolare nel punto dove è stata identificata la restrizione di mobilità: il paziente veniva quindi invitato a spingere la testa nella direzione opposta a quella dove il movimento era limitato e nel momento del rilascio l’operatore recuperava tale movimento limitato (la procedura veniva ripetuta circa 4 volte). Nel gruppo di controllo è stato invece eseguito un finto trattamento in cui l’operatore portava il capo del paziente nella direzione dove il movimento era limitato, senza intervento attivo del paziente stesso. I test di mobilità eseguiti prima e dopo il trattamento osteopatico e il finto trattamento hanno mostrato una leggera riduzione del range di mobilità nel gruppo di controllo e un notevole aumento nel gruppo di trattamento (fino a 4°), soprattutto nel movimento di rotazione. I risultati potrebbero essere ancora più importanti se lo studio fosse eseguito su pazienti più anziani, che solitamente presentano maggiori restrizioni di mobilità. Tuttavia questo studio dimostra come l’utilizzo delle tecniche a energia muscolare sia molto utile nel migliorare la mobilità cervicale, la cui limitazione è spesso alla base di sintomi quali cefalea cervicogenica, sindrome da compressione nervosa, dolore cervicale acuto e cronico in seguito a incidenti automobilistici o traumi minori.  Tali tecniche si sono mostrate meno pericolose dell’utilizzo di farmaci anti-infiammatori e della manipolazione cervicale. Sarebbe interessante ripetere lo studio su pazienti sintomatici e valutare l’effetto che tale tecnica può avere sul dolore, oltre che valutare la durata dell’effetto di tale tecnica.

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Cervicale e Nervo Vago

J Altern Complement Med. 2013 Feb;19(2):92-6. Suboccipital decompression enhances heart rate variability indices of cardiac control in healthy subjects. Giles PD1, Hensel KL, Pacchia CF, Smith ML.

Il nervo vago è un importante nervo del sistema nervoso autonomo che permette l’azione di moltissimi organi, tra cui il cuore, lo stomaco e parte dell’intestino. Tale nervo emerge dal cranio a livello occipitale e decorre lungo la cervicale in prossimità di alcune strutture muscolo-scheletriche spesso trattate dagli osteopati, in particolare dei muscoli suboccipitali. Dal momento che alcune condizioni infiammatorie locali, di edema, di ipertono o spasmo dei muscoli cervicali o di disfunzione somatica delle vertebre cervicali possono avere un effetto compressivo su tale nervo, provocando oltre che dolore locale anche sintomi come nausea e vomito, è plausibile pensare che il trattamento manipolativo a livello di tali strutture possa interferire con  l’azione del nervo vago. Lo studio proposto ha come obiettivo quello di verificare se il trattamento osteopatico possa dare una variazione nella frequenza cardiaca in pazienti sani, interagendo quindi con l’azione del nervo vago. Per lo studio sono stati reclutati 19 pazienti, in assenza di patologie cardio-vascolari o di precedenti traumi a livello cervicale, che non avessero consumato caffeina o tabacco (elementi che alterano la frequenza cardiaca) nelle precedenti 48 ore. Dopo 20 minuti di riposo in posizione supina i pazienti sono stati sottoposti a: trattamento osteopatico (inibizione dei muscoli suboccipitali e decompressione suboccipitale), trattamento placebo (le mani poste a livello occipitale senza azione diretta) e fase di controllo (senza alcun contatto fisico). I risultati hanno dimostrato grandi cambiamenti a livello di frequenza cardiaca e respiratoria in seguito al trattamento osteopatico in confronto al post-trattamento placebo e fase di controllo (che si sono dimostrati praticamente identici). Questo studio dimostra come il trattamento osteopatico possa influenzare enormemente l’attività del sistema parasimpatico con effetti benefici non soltanto a livello locale (cervicale e cranico), ma anche a distanza a livello degli organi innervati dal vago. Ciò significa che alcune sintomatologie sistemiche possono essere approcciate dall’osteopatia, in assenza di patologie d’organo, con ottimi risultati.

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Cervicalgia post-estrazione

J Am Osteopath Assoc. 2012 Jul;112(7):457-60. Osteopathic manipulative treatment to resolve head and neck pain after tooth extraction. Meyer PM1, Gustowski SM.

In seguito a un’estrazione dentale la maggior parte dei pazienti presenta dolore cervicale o cefalea e breve distanza dall’intervento ma anche dopo qualche settimana, a causa dell’instaurarsi di disfunzioni somatiche. Il dolore dipende da vari fattori, tra cui il tipo di intervento, la forza utilizzata, lo stato di salute generale del paziente e il suo sesso. Il caso clinico proposto è quello di un paziente uomo di 52 anni che si presenta dal medico di base per dolore cervicale e cefalea insorti in seguito a un’estrazione dentale e all’attività di spinta di un auto in panne. Il dolore è descritto come spilli che dal collo arrivano all’arto superiore in assenza di debolezza o parestesie. La cefalea si associa a capogiri quando il paziente muove il collo, mentre la sintomatologia è alleviata dal caldo e da terapia anti-infiammatoria. Il medico prescrive una terapia con miorilassanti ed esercizi per due mesi. Trascorso il periodo il paziente presenta ancora la sintomatologia cervicale irradiata al capo con dolore retro-oculare e al braccio destro fino al gomito. Viene quindi valutato dall’osteopata che individua, oltre alle tensioni muscolari, una disfunzione cranica a livello della sutura occipito-mastoidea a destra, della prima vertebra cervicale e della regione dorsale. Il trattamento cranico con tecniche v-spread, cervicale con tecniche a energia muscolare e tecniche articolatorie, dorsale con manipolazione diretta, dà un miglioramento della sintomatologia nella prima settimana. Con il secondo trattamento si ottiene la completa risoluzione della sintomatologia. Questo caso clinico insegna l’importanza della valutazione del cranio e della cervicale se presente in anamnesi una storia di estrazione dentale, che risulta traumatica per queste strutture. Sottolinea inoltre che durante l’anamnesi è fondamentale indagare anche la storia odontoiatrica del paziente. Suggerisce infine a tutti i medici e pazienti che l’osteopatia ha risultati molto positivi nel trattamento del dolore causato da estrazione dentale.

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Artrosi del ginocchio

J Am Osteopath Assoc. 2007 Nov;107(10 Suppl 6):ES21-7. Managing osteoarthritic knee pain. Barron MC1, Rubin BR.

L’osteoartrite è una delle più comuni forme di artrite affrontate dai medici di base. La maggior parte dei pazienti si rivolge al medico per il dolore, principale disturbo associato a questa condizione. Il dolore può avere origine da differenti regioni anatomiche, come la membrana sinoviale, la capsula articolare, i muscoli periarticolari, i legamenti, il periostio e l’osso subcondrale. L’articolo proposto riguarda nello specifico l’artrosi del ginocchio.  L’approccio terapeutico comprende un insieme di terapie farmacologiche e non, la combinazione di queste risulta essere il più efficace tipo di trattamento conservativo. Le terapie farmacologiche che vengono proposte comprendono quelle topiche (creme anti-infiammatorie), intra-articolari (cortisone) e terapia per via orale di anti-infiammatori non steroidei. Tra le terapie non farmacologiche sono incluse: il trattamento osteopatico, la terapia fisica, gli esercizi, l’utilizzo di stampella o bastone. Le tecniche studiate come efficaci in alcuni studi clinici sono state: lo stretching del muscolo quadricipite per una migliore stabilità articolare e per la riduzione del dolore; la correzione delle deformità in varo del ginocchio; la perdita di peso associata ad esercizio fisico nelle persone obese; Baird e Sands hanno eseguito uno studio che ha dimostrato che il rilascio muscolare, monitorato con imaging, ha portato una riduzione del dolore nell’osteoartrite e in altre condizioni, come la fibromialgia e il cancro. Vas et al hanno invece valutato il ruolo dell’agopuntura come trattamento dell’artrosi del ginocchio, che si è dimostrata efficace, così come la magnetoterapia. In generale a causa della natura della patologia e degli scarsi effetti dell’approccio farmacologico sempre di più si fa riferimento a terapie non convenzionali, anche in letteratura medica.

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Osteopatia e Fascite Plantare

J Am Osteopath Assoc. 2006 Sep;106(9):547-56. Effect of counterstrain on stretch reflexes, hoffmann reflexes, and clinical outcomes in subjects with plantar fasciitis. Wynne MM1, Burns JM, Eland DC, Conatser RR, Howell JN.

L’efficacia del trattamento osteopatico sulla tendinite del tendine d’Achille è stata dimostrata precedentemente in uno studio. Lo scopo della ricerca proposta è quello di valutare l’efficacia  di una specifica tecnica osteopatica sulla fascite plantare, poichè come il tricipite surale si inserisce sul calcagno. La tecnica testata è quella del counterstrain, definita come tecnica indiretta miofasciale che si basa sulla componente neurologica della disfunzione somatica. Nella pratica viene mantenuta una posizione del piede o della caviglia per 90 secondi: inizialmente la posizione sarà dolorosa, in seguito diventerà indolore. Per lo studio sono stati reclutati 20 soggetti con fascite plantare diagnosticata, in assenza di patologie cardiovascolari. I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi, il primo è stato sottoposto alla tecnica di counterstrain, il secondo è stato trattato con pillole placebo, nonostante i pazienti sapessero che erano anti-infiammatori. I partecipanti hanno compilato tutti i giorni dello studio un questionario che indagava il dolore nel camminare, la notte, la rigidità e la dolorabilità alla palpazione. I risultati all’elettromiografia non hanno mostrato differenze all’inizio e alla fine dello studio sia nel gruppo trattato con trattamento osteopatico che nel gruppo trattato con placebo. Tuttavia sono stati notati importanti cambiamenti nella riduzione della sintomatologia del paziente soprattutto nelle prime fasi dopo il trattamento. Il trattamento placebo non ha invece dato miglioramenti alla sintomatologia, mentre ci si aspettava che a livello psicologico avrebbe in parte aiutato.

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Errare è umano

J Am Osteopath Assoc. 2010 Jun;110(6):340-6. End of the “see one, do one, teach one” era: the next generation of invasive bedside procedural instruction. Lenchus JD.

Nel 1999 l’Istituto di Medicina pubblicò “Errare è umano: costruzione di un più sicuro sistema sanitario” in cui indicava l’errore medico come causa di morte di 50.000-100.000 pazienti l’anno. Le manovre mediche invasive sono associate a un alto rischio di errore e complicazioni, aumentando il periodo di permanenza  in ospedale e i costi di cura. Lo scopo dello studio proposto è stato quello di testare la conoscenza medica attraverso un test. E’ stato creato un team di valutazione il più eterogeneo possibile, che ha seguito un percorso per imparare a giudicare i candidati. I partecipanti allo studio sono stati medici che lavoravano in ospedale che si sono sottoposti al test volontariamente. Il test riguardava 5 procedure comunemente effettuate: la cateterizzazione venosa centrale, l’artrocentesi del ginocchio, la puntura lombare, la paracentesi e la toracentesi. Il test comprendeva domande sulle procedure a cui bisognava rispondere con vero/falso e veniva sottoposto al medico prima e dopo un training riguardante l’operazione stessa. Il punteggio ottenuto dai medici variava enormemente prima e dopo il training. Il modello “vedo, faccio, insegno” può essere migliorato da un nuovo modello che si è dimostrato molto utile nel migliorare le conoscenze e le abilità mediche. Tale modello dovrebbe essere applicato a tutta la medicina osteopatica e allopatica per aumentarne le potenzialità.

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Lesioni nel triathlon

J Can Chiropr Assoc. 2009 Mar;53(1):23-31. Conservative treatment of a tibialis posterior strain in a novice triathlete: a case report. Howitt S1, Jung S, Hammonds N.

Lo stiramento dei muscoli degli arti inferiori è uno dei traumi più frequenti nei triatleti, come risultato di un eccessivo uso. Uno studio epidemiologico ha mostrato come il 50.4% dei triatleti in sei mesi di allenamento ha presentato un disturbo, la maggior parte a livello degli arti inferiori. Nello specifico si incorre nello stiramento solitamente durante la corsa, meno frequentemente durante la pedalata. Il nuoto è relativamente poco rischioso per gli arti inferiori, mentre lo è molto di più per la spalla. Il case report proposto è quello di un triatleta di 41 anni in allenamento per un Ironman. Durante una virata nell’allenamento di nuoto ha sentito un dolore intenso alla caviglia destra, che si è trasformato in dolore di media intensità al polpaccio l’ora successiva e in dolore invalidante, soprattutto nel salire le scale e nel guidare, il giorno dopo. Dopo tre giorni il dolore era ulteriormente peggiorato, il paziente zoppicava e manteneva il piede in flessione plantare. L’atleta era già stato trattato precedentemente per un dolore a livello della bendelletta ileotibiale (sindrome da conflitto). La diagnosi di questo trauma è stata uno stiramento di 1° grado del muscolo tibiale posteriore. Il trattamento proposto è stato quello manuale con inibizione dei muscoli tibiale posteriore, gastrocnemio e soleo e mobilizzazione del malleolo mediale. In associazione sono stati effettuati ultrasuoni, elettrostimolazioni e terapia anti-infiammatoria. Dopo 5 giorni il dolore era presente solo in modo lieve, a distanza di due settimane il paziente ha ripreso una blanda attività in piscina, mentre a distanza di sei settimane ha recuperato completamente le sue performance precedenti al trauma. All’esame obiettivo non si sono evidenziate alterazioni nel range di mobilità o sequele a livello del muscolo interessato. Il muscolo tibiale posteriore è importantissimo per la meccanica del piede, mantenendo la caviglia in una posizione neutrale durante la deambulazione. Uno stiramento di tale muscolo si manifesta solitamente con un dolore molto vago nella zona mediale del piede e dietro il malleolo seguendo il decorso del tendine, che spesso crea difficoltà a camminare. All’esame obiettivo appariranno deformità del piede o della caviglia. La frequenza di insulti a livello di tale muscolo aumenta in concomitanza con alcune patologie: piede piatto, diabete mellito, ipertensione ecc. Il trattamento conservativo ha ottime risposte nel caso di stiramento di 1° o 2° grado, mentre il trattamento chirurgico è raccomandato solo nei casi più gravi.

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Artrosi: un nuovo punto di vista

J Am Osteopath Assoc. 2011 Nov;111(11):631-7. Rethinking the model of osteoarthritis: a clinical viewpoint. Wade GJ.

L’osteoartrosi viene descritta come una patologia degenerativa che inevitabilmente colpisce le persone anziane in seguito a specifici processi degenerativi del tessuto osseo e articolare. I principali fattori di rischio sono l’età, l’obesità, i traumi, la genetica o l’ereditarietà, la debolezza muscolare. Tuttavia tra i clinici rimangono molti dubbi a riguardo: perchè alcuni pazienti con artrosi sono completamente asintomatici, mentre altri presentano dolore? Perchè l’artrosi si manifesta anche in alcuni pazienti giovani? Perchè spesso esiste una familiarità in particolare da mamma a figlia femmina? Nel processo degenerativo sono coinvolti meccanismi metabolici che, alterandosi, provocano il deterioramento della cartilagine. Gli osteopati accettano questo modello che spiega la patologia dell’artrosi, tuttavia hanno studiato altri aspetti. In particolare la prevalenza di artrosi in pazienti che praticano determinati sport o determinate attività lavorative che prevedono una prolungata posizione seduta (la quale porta in massima torsione la capsula articolare dell’anca). E’ stato quindi proposto un nuovo modello che spieghi la patologia che ha considerato 11 diversi punti:

  1. L’età comporta cambiamenti metabolici che vanno ad alterare il tessuto cartilagineo portando maggiore stress sull’articolazione e sull’osso.
  2. Movimenti ripetuti o posizioni mantenute possono portare uno stress in torsione della capsula articolare e una compressione interna dell’articolazione stessa.
  3. Traumi o interventi chirurgici possono causare rigidità articolare con insorgenza precoce dei cambiamenti metabolici che causano l’artrosi.
  4. L’obesità provoca un maggiore stress a livello delle articolazioni, in particolare alle ginocchia.
  5. Infezioni e malattie infiammatorie possono compromettere l’integrità cartilaginea.
  6. Pre-artrosi si può definire lo stadio in cui il paziente presenta rigidità e tensione muscolare che dovrebbe proteggere l’articolazione dal dolore ma che, a sua volta, dà dolore.
  7. La fase di artrosi è quella in cui le alterazioni metaboliche modificano la cartilagine. In questa fase è fondamentale l’intervento manipolativo per rallentarne la progressione.
  8. Anche le articolazioni troppo mobili possono presentare artrosi per conflitto dei capi articolari.
  9. La fase di artrite è quella in cui la mancanza di lubrificazione delle articolazioni genera fissurazioni, in questa fase la manipolazione ha poca efficacia.
  10. Le fissurazioni determinano un deterioramento osseo, questa è la fase pre-chirurgica.
  11. Nella fase pre-chirurgica il dolore del paziente aumenta notevolmente, camminare diventa difficoltoso e le articolazioni circostanti ne risentono.

Questo nuovo modello è molto indicativo per l’osteopata per capire quando il suo intervento possa essere efficace e con che tipo di tecniche lavorare.

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osteoporosi

 

Piede Cavo e Osteopatia

N Am J Sports Phys Ther. 2010 Feb;5(1):27-32. Deformity or dysfunction? Osteopathic manipulation of the idiopathic cavus foot: A clinical suggestion. Wong CK, Gidali A, Harris V.

Le anormalità osservate nella deambulazione sono spesso relazionate a una varietà di deformità del piede come il piede cavo, cavo-varo, varo non compensato e un alto arco plantare. Quando le anormalità della deambulazione relazionate a deformità del piede cavo danno sintomi o contribuiscono a un movimento disfunzionale dell’arto inferiore, vengono comunemente utilizzate delle ortesi per accomodare la deformità e ottimizzare la funzione dell’arto inferiore. Nei casi più gravi è utilizzato l’intervento chirurgico. L’ipomobilità delle grandi articolazioni del piede e dell’anca può essere confusa con una deformità di piede cavo idiopatico. Come per ciascun altro segmento corporeo con sospetta disfunzione muscolo-scheletrica, si suggerisce di provare i test di mobilità e la mobilizzazione di quell’articolazione, se indicato, prima di ipotizzare la presenza di una deformità in cavo. Il piede e la caviglia includono molte articolazioni, le quali possono diventare tutte ipomobili in modo indipendente o gruppale. Il caso clinico proposto di piede cavo idiopatico corretto con la manipolazione osteopatica è stato presentato per fare considerare che le anormalità osservate nel piede possono essere deformità ossee o articolazioni disfunzionali ipomobili. Come in questo caso, alcune anormalità di piede cavo possono essere corrette con la manipolazione osteopatica. Il paziente dovrebbe essere preparato a possibili disturbi dell’arto inferiore post-trattamento. Nel caso di anormalità bilaterali, il trattamento di entrambi i piedi nello stesso giorno può minimizzare i disturbi relazionati all’asimmetria, nonostante in questo caso la programmazione escluda questo approccio. Prima di ipotizzare la presenza di una deformità ossea immutabile che richieda ortesi o chirurgia, si consiglia ai clinici di verificare la mobilità articolare specifica di tutto il piede e tutta la caviglia ed è indicato mobilizzare le regioni ipomobili.

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distorsioni

Terapia Manipolativa e arti inferiori

J Manipulative Physiol Ther. 2009 Jan;32(1):53-71. Manipulative therapy for lower extremity conditions: expansion of literature review. Brantingham JW1, Globe G, Pollard H, Hicks M, Korporaal C, Hoskins W.

Lo scopo di questo studio è stato quello di condurre una systemathic review (revisione di studi clinici) sul trattamento manipolativo di diverse condizioni riguardanti l’arto inferiore. La ricerca ha incluso studi chiropratici, osteopatici, ortopedici, fisioterapici. Sono stati esclusi gli studi in cui il dolore era dato da problemi spinali, chirurgia o altre condizioni in cui la terapia manipolativa era controindicata. Gli studi analizzati sono stati giudicati con il seguente metodo: il grado A corrispondeva a buone evidenze da studi rilevanti (studi con un buon progetto, clinicamente importanti, con risultati chiari e non generalizzabili), il grado B corrispondeva a discrete evidenze da studi rilevanti (studi con buon progetto ma con risultati parziali o uno scarso campione), il grado C corrispondeva a limitate evidenze (studi con un progetto debole o scarso campione). Le condizioni analizzate sono state: l’osteoartrite dell’anca, i cui studi sono stati giudicati di livello C; condizioni del ginocchio (osteoartrite, sindrome femoro-rotulea), della catena cinetica muscolare, della caviglia (distorsione con stiramento legamentoso) o del piede, i cui studi sono stati giudicati di livello B; fascite plantare, metatarsalgia e alluce rigido, i cui studi sono stati giudicati di livello C. Gli studi riguardo le terapie manipolative e l’alluce valgo sono stati valutati in modo insufficiente. Moltissimi sono gli studi riguardo l’efficacia del trattamento manipolativo per i disturbi dell’arto inferiore, spesso con risultati clinici molto positivi. Tuttavia sarebbe molto importante migliorare i progetti degli studi rendendoli più scientificamente significativi. Dovrebbe inoltre essere incoraggiata una collaborazione interdisciplinare che si è dimostrata efficace nella maggior parte degli studi clinici.

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